domenica 16 dicembre 2012

Istanbul: il paese dei balocchi

La mia personalissima e limitata esperienza, niente di più...

Una immensa città divisa dal mare tra oriente e occidente. Colorata dalla seta e dal cachemire dei bazar, dalla frutta agli angoli di strada e dal succo di melograno, dai dolci delle pasticcerie, dalle lanterne illuminate. La tradizione popolare con la sua musica orientale è nel sangue dei suoi abitanti, i pedi a terra e le mani in alto a girare. Camminare nella folla è un bagno di umanità, e il canto dagli altoparlanti delle sinagoghe è un respiro sonoro che risveglia l'anima. Gli occhi densi e profondi degli uomini si addolciscono allo sguardo femminile, propensi a subirne il fascino e a tentare la seduzione.
Lenti e attenti ballano in pista sul filo del piacere, in una ronda disordinata come il traffico nell'ora di punta, frenando col busto la libertà delle gambe, concedendo e prendendo molto nell'abbraccio ma distanti nel saluto, a volte diffidenti e un po chiusi nell'invito, certamente sensibili e musicali nel ballo.
La forza dell'umanità che si presenta, del rapporto autentico viso a viso, a volte tanto gentile quanto altre volte scortese, ti scuote il cuore, ti cambia nelle radici, questa una terra calda e colorata che fiorisce nei corpi della gente e torna a te di riflesso. Qualcosa dell'aria diversa e magica di Buenos Aires a volte sembra riecheggiare anche qui, in una diversa forma di tradizione popolare e di clima caldo, di seduzione femminile e dimensione della città grande, non sempre ricca e pulita, di porti vivi e colorati. Al dulce de lece si sostituisce l' "helva" con le sue fette friabili, all'assado si contrappone il kebab, al chorizo venduto per strada, le pannocchie bollite dei carretti di Istanbul in una tradizione di cucina mediterranea sana e ricca di vitamine. Torno a casa con la valigia piena di pashmine colorate, di scale pentatoniche, di canti nell'aria, di occhi profondi e contatti sinceri, pronta a lasciare che tutto espanda il mio cuore e sciolga la paura delle mie spalle ancora una volta più profondamente, più profondamente.

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